Il parto indotto è una procedura medica delicata, che prevede l’induzione del travaglio di parto in modo artificiale, impiegata quando la gravidanza è oltre il termine e il travaglio non accenna a partire naturalmente o quando la gestante e/o il feto sono in pericolo.
Esistono varie tecniche per eseguire il parto indotto e, in alcuni casi, il ginecologo potrebbe sfruttarne più d’una: tutto dipende dal perché si ricorre al parto indotto e dalle caratteristiche della paziente.
Analizziamo insieme, e approfondiamo con maggiori dettagli, cos’è il parto indotto, quando e come si esegue, se e quanto è doloroso e quali rischi comporta.
Cos’è il parto indotto?
Di cosa parliamo in questo articolo
- Cos’è il parto indotto?
- Quando è necessario il parto indotto?
- Come si esegue il parto indotto?
- Quanto dura il parto indotto?
- Come fa il ginecologo a stabilire che serve il parto indotto?
- Il parto indotto è doloroso?
- Parto indotto e violenza ostetrica: quali manovre fanno discutere?
- Quali sono i rischi del parto indotto?
- Quali sono i tempi di recupero da un parto indotto?
- Domande frequenti (FAQ)
Come accennato, il parto indotto è l’induzione del travaglio di parto con metodi artificiali.
Si tratta di una procedura medica delicata, da attuare solo dopo un’opportuna valutazione del rapporto rischi/benefici, che permette di favorire il travaglio di parto quando occorre anticipare il parto naturale o quando quest’ultimo non accenna a iniziare nonostante il termine della gravidanza.
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Quando è necessario il parto indotto?
Il parto indotto trova impiego quando la gestante ha superato la data di parto prevista o per accelerare il parto in situazioni di pericolo per il feto o per la madre.
Più nello specifico, tra i motivi che possono rendere necessario il parto indotto figurano:
- gravidanza oltre il termine: le gravidanze che si protraggono di un paio di settimane oltre la 40esima settimana richiedono generalmente l’induzione del parto. Se non si interviene in tal senso, c’è il rischio che il feto cresca troppo, risultando pericoloso per la madre;
- rottura prematura delle acque: corrispondente alla rottura del sacco amniotico, la rottura delle acque è uno dei classici eventi che precede l’inizio del travaglio. Quando è prematura significa che avviene prima del dovuto e che, per salvaguardare la salute del feto e della madre, bisogna anticipare il parto;
- oligoidramnios: indica la scarsa presenza di liquido amniotico. Non sempre richiede il parto indotto, tutto dipende da altri fattori di rischio per la salute del feto;
- distacco di placenta: è la separazione della placenta dalla parete interna dell’utero. È una condizione pericolosa sia per il feto che per la madre;
- infezione intra-amniotica (corioamnionite): si tratta dell’infezione di una delle membrane fetali (amnios o corion);
- preeclampsia: è un disturbo di cui possono soffrire le donne incinte e che si caratterizza per ipertensione, edema e proteinuria. La preeclampsia è pericolosa perché può degenerare in eclampsia, una condizione potenzialmente fatale per madre e feto.
Il parto indotto, inoltre, può essere indicato in caso di aborto spontaneo in corso (per favorire l’espulsione del feto quando questa non avviene naturalmente), storia di parto precipitoso, storia pregressa di morte fetale, diabete gestazionale, colestasi gravidica (alterazione del flusso della bile), malattia renale cronica, obesità.
Come si esegue il parto indotto?
Esistono varie tecniche per eseguire il parto indotto. Il ginecologo può sfruttare una o più di una fra queste, in base alle condizioni in cui versa la cervice uterina (se è matura o no, se è già un po’ dilatata o no ecc.) e ai motivi che hanno reso necessaria l’induzione del travaglio.
Le possibili metodiche sono:
- scollamento delle membrane;
- induzione della maturazione e della dilatazione della cervice;
- amniotomia;
- somministrazione endovenosa di ossitocina.
In linea generale, le prime due servono soprattutto a favorire la maturazione e dilatazione cervicali, mentre le ultime due hanno l’effetto di aumentare la frequenza delle contrazioni uterine, le quali sono fondamentali per spingere il bambino lungo il canale del parto.
Durante il parto indotto, feto e madre sono sottoposti a un monitoraggio costante delle loro condizioni di salute, in modo da rilevare tempestivamente eventuali anomalie.
1. Scollamento delle membrane
È una metodica valida sia per indurre la maturazione delle cervice, sia per velocizzare il parto.
Nell’eseguire lo scollamento delle membrane, il ginecologo inserisce una mano guantata all’interno dell’utero e, con un dito, prova a separare il sacco amniotico dall’utero; la separazione del sacco amniotico favorisce la maturazione della cervice.
Ma non è tutto.
Il passaggio della mano stimola anche il rilascio di prostaglandine, molecole che favoriscono l’inizio delle contrazioni.
Lo scollamento delle membrane non ha sempre effetto; tuttavia, considerato il basso rischio, è una tecnica sempre valida e applicabile.
2. Induzione della maturazione e della dilatazione della cervice
Bisogna fare una piccola premessa: la maturazione della cervice è il processo che precede la dilatazione e l’assottigliamento dell’utero, i quali, a loro volta, precedono il parto vero e proprio.
Attualmente, per stimolare la maturazione della cervice e, di conseguenza, la dilatazione dell’utero, i ginecologi possono utilizzare una prostaglandina sintetica o un catetere a palloncino.
Somministrabili per bocca (compresse) o direttamente in vagina (ovuli o gel), le prostaglandine sintetiche favoriscono, attraverso un meccanismo chimico, l’ammorbidimento e la maturazione della cervice.
Il catetere a palloncino ha lo stesso effetto, ma, a differenza delle prostaglandine, agisce per via meccanica: una volta introdotto nella cervice e riempito di una soluzione salina esercita una pressione sulle pareti cervicali, tale da indurne la maturazione e la dilatazione.
3. Amniotomia
Con questo termine si indica la rottura volontaria delle acque. Per eseguire l’amniotomia, il ginecologo sfrutta un piccolo gancio di plastica.
Per poter eseguire questa tecnica, la cervice uterina deve già essere parzialmente dilatata.
4. Ossitocina per via endovenosa
L’ossitocina è l’ormone prodotto dal corpo alla conclusione della gravidanza, per favorire le contrazioni uterine.
Con la somministrazione di ossitocina sintetica, il ginecologo intende potenziare questo effetto naturale.
Anche in questo caso, per poter somministrare l’ossitocina per via endovenosa, la cervice uterina deve essere già parzialmente dilatata.
A prescindere dalla tecnica impiegata, il parto indotto può terminare con un parto vaginale (cioè naturale) o con altre strategie, come il taglio cesareo o la ventosa.
Quanto dura il parto indotto?
La durata del parto indotto varia da gestante a gestante e dipende da diversi fattori, tra cui:
- come la donna incinta risponde alla tecnica impiegata;
- la maturazione della cervice uterina al momento dell’inizio dell’induzione del travaglio;
- la tecnica di induzione adottata.
Con l’induzione del parto, alcune donne entrano in travaglio attivo molto rapidamente, mentre altre dopo diverse ore; per travaglio attivo si intende il momento in cui la cervice uterina raggiunge una dilatazione di 6 cm.
A ogni modo, la maggior parte delle donne sottoposte a parto indotto entra in travaglio attivo entro 24 ore.
Come fa il ginecologo a stabilire che serve il parto indotto?
Prima di poter ricorrere al parto indotto, il ginecologo deve valutare l’idoneità della paziente alla procedura e l’indispensabilità di questa.
Questa valutazione tiene conto di svariati parametri tra cui:
- stato di salute generale della madre e del feto;
- età gestazionale del feto e sue dimensioni;
- posizione intrauterina del feto;
- stato di salute della cervice uterina materna.
L’analisi di questi parametri permette al medico di stabilire anche il rapporto rischi/benefici relativo all’induzione artificiale del travaglio. Per poter attuare il parto indotto, è indispensabile che i benefici siano di più dei rischi.
Il parto indotto è doloroso?
Il grado di dolore avvertito durante un parto indotto varia a seconda che la paziente sia stata sottoposta o meno ad anestesia epidurale (o a un altro tipo di anestesia) e in base alla metodica di induzione del parto adottata.
Per esempio, la somministrazione di un farmaco come l’ossitocina può risultare anche molto dolorosa, in quanto intensifica le contrazioni uterine (è il suo scopo). L’epidurale, chiaramente, riduce questo dolore.
Dolorosa può essere anche lo scollamento delle membrane, manovra che, tra l’altro, può essere seguita anche da crampi e spotting.
Parto indotto e violenza ostetrica: quali manovre fanno discutere?
Manovre come lo scollamento delle membrane e la rottura artificiale delle acque fanno discutere, soprattutto nel momento in cui non sono comunicate e concordate con la gestante.
Da qualche anno, ormai, non solo le donne ma anche la maggiore organizzazione sanitaria al mondo, l’OMS, hanno preso coscienza e maturato una certa sensibilità al tema della violenza ostetrica, ovvero gli abusi fisici, verbali e psicologici subiti in sala parto e la mancata comunicazione di pratiche e manovre che comportano un’azione diretta sulla persona e che potrebbero risultare dolorose, specialmente in un momento delicato come la gravidanza.
Quali sono i rischi del parto indotto?
Il parto indotto è una procedura delicata, che presenta alcuni rischi potenziali, sia per l’incolumità del feto sia per la madre.
Tra le possibili complicanze del parto indotto, si segnalano:
- prolasso del cordone ombelicale: corrisponde alla discesa del cordone ombelicale lungo il canale cervicale prima che avvenga quella del bambino. Il prolasso del cordone ombelicale può verificarsi a seguito di contrazione troppo violente, dovute per esempio a eccessiva ossitocina;
- infezioni: possono colpire sia la madre che il feto;
- rottura dell’utero: è un evento raro, ma possibile;
- riduzione della frequenza cardiaca fetale: può verificarsi, per esempio, a seguito dell’uso dell’ossitocina sintetica.
Ricorrere al parto indotto, inoltre, aumenta la probabilità di dover attuare un taglio cesareo, un intervento chirurgico che, a sua volta, è associato a diversi rischi.
Quali sono i tempi di recupero da un parto indotto?
In linea generale, i tempi di recupero da un parto indotto equivalgono a quelli di un parto il cui travaglio è avvenuto in modo naturale e spontaneo.
Anche in questo caso, varia molto da donna a donna. Consigliamo, su questo tema, la lettura del nostro articolo Remise en forme dopo la gravidanza: cosa fare.
Domande frequenti (FAQ)
Il parto indotto è una procedura medica che prevede l’ induzione artificiale del travaglio di parto. È una procedura delicata utilizzata quando la gravidanza supera il termine naturale o quando la salute della gestante e/o del feto è in pericolo. Lo scopo è favorire il travaglio quando il parto naturale non inizia spontaneamente al termine della gravidanza o deve essere anticipato.
Si ricorre al parto indotto quando la gestante ha superato la data prevista per il parto o per accelerare il parto in situazioni di pericolo per il feto o la madre. La decisione si basa su una valutazione del rapporto rischi/benefici, che deve mostrare che i benefici superano i rischi.
Tra i motivi che possono rendere necessario il parto indotto figurano la gravidanza oltre il termine (spesso oltre la 40esima settimana), la rottura prematura delle acque, la scarsa presenza di liquido amniotico (oligoidramnios), il distacco di placenta, infezioni intra-amniotiche (corioamnionite) e la preeclampsia. Altre ragioni includono storia di parto precipitoso o morte fetale, diabete gestazionale, colestasi gravidica, malattia renale cronica e obesità.
Esistono diverse tecniche per eseguire il parto indotto. La scelta dipende dalle condizioni della cervice uterina e dai motivi dell’induzione. Le tecniche possono mirare a favorire la maturazione e la dilatazione della cervice o ad aumentare la frequenza delle contrazioni uterine. Durante la procedura, madre e feto sono sottoposti a monitoraggio costante.
Le metodiche possibili includono lo scollamento delle membrane, l’induzione della maturazione e dilatazione della cervice (con prostaglandine sintetiche o catetere a palloncino), l’amniotomia (rottura artificiale delle acque) e la somministrazione endovenosa di ossitocina sintetica. Spesso si utilizzano una o più tecniche in combinazione.
La durata del parto indotto varia da gestante a gestante. Dipende da come la donna risponde alla tecnica, dalla maturazione della cervice all’inizio e dalla tecnica utilizzata. Alcune donne entrano in travaglio attivo (dilatazione di 6 cm) rapidamente, altre dopo diverse ore. La maggior parte delle donne sottoposte a induzione entra in travaglio attivo entro 24 ore.
Prima di ricorrere al parto indotto, il ginecologo valuta l’idoneità e l’indispensabilità della procedura. Questa valutazione tiene conto di diversi parametri, tra cui lo stato di salute generale di madre e feto, l’età gestazionale, le dimensioni e la posizione fetale, e lo stato della cervice uterina materna.
Il grado di dolore varia. Dipende se è stata utilizzata l’anestesia epidurale o un altro tipo di anestesia. Anche la metodica di induzione influenza il dolore. La somministrazione di ossitocina, che intensifica le contrazioni, può risultare molto dolorosa. Anche lo scollamento delle membrane può essere doloroso, seguito da crampi e spotting.
Manovre come lo scollamento delle membrane e la rottura artificiale delle acque (amniotomia) sono oggetto di dibattito. Fanno discutere in particolare quando non sono comunicate e concordate con la gestante. Questo tema rientra nell’ambito della violenza ostetrica, che include la mancata comunicazione di pratiche dirette sulla persona che potrebbero essere dolorose.
Il parto indotto presenta alcuni rischi potenziali per madre e feto. Le possibili complicanze includono il prolasso del cordone ombelicale, infezioni (per madre e feto), la rottura dell’utero (evento raro) e la riduzione della frequenza cardiaca fetale. Ricorrere al parto indotto aumenta anche la probabilità di dover ricorrere a un taglio cesareo.
In linea generale, i tempi di recupero da un parto indotto sono equivalenti a quelli di un parto il cui travaglio è avvenuto in modo naturale e spontaneo. Tuttavia, la ripresa varia molto da donna a donna.